
Ancora un fine settimana, poi da lunedì lavoreremo per portarne a casa i frutti. Perché è vero che le tasse sono una cosa bellissima come diceva Padoa-Schioppa perché sono la benzina della nostra Repubblica, ma fa anche impressione scoprire di esser arrivati a metà anno – simbolicamente – per vedere finire il drenaggio del Fisco dal nostro lavoro.
Dice infatti l’ufficio studi della Cgia che da lunedì 3 giugno “scatta il cosiddetto “giorno di liberazione fiscale”. Scrive l’associazione artigiana: “In linea meramente teorica – scrive la confederazione di artigiani – da lunedì lavoreremo per soddisfare i nostri bisogni e non più per pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali previsti nel 2024. Un gettito che per l’erario dovrebbe garantire 909,7 miliardi di euro. Risorse che sono indispensabili allo Stato per far funzionare le scuole, gli ospedali, i bus, i treni, gli uffici pubblici e per pagare le pensioni, gli stipendi agli statali e ai dipendenti degli enti locali. In altre parole, sono soldi che le Amministrazioni pubbliche prima incassano, poi investono nei servizi, nel welfare, nelle infrastrutture sociali ed economiche per migliorare la qualità della vita di ognuno di noi”.
Per non essere fraintesi – spiega la Cgia – è bene evidenziarlo con forza: ancorché “il giorno di liberazione fiscale” non costituisca un principio assoluto, questo esercizio dimostra empiricamente quanto sia eccessivo il carico fiscale che continua a gravare sugli italiani.
Come si arriva a fissare il giorno, in presenza per altro di una pressione fiscale in diminuzione di 0,4 punti nel 2023? Come detto è un discorso puramente teorico: si dividono i 2.163 miliardi di euro di Pil per 366 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero pari a 5,9 miliardi di euro. Si prendono i 909,7 miliardi di gettito di fisco e contributi e li si riportano al Pil giornaliero: il giorno di liberazione fiscale del 2024 che scatta dopo 154 giorni dall’inizio dell’anno, ovvero il prossimo 3 giugno.
Come si diceva, per quest’anno il Def stima la pressione fiscale al 42,1 per cento del Pil, in diminuzione di 0,4 punti rispetto alla soglia toccata nel 2023, frutto di una crescita economica nominale superiore a quella del gettito. Ricorda la Cgia ancora che dal 1995, l’anno in cui il “giorno di liberazione fiscale” è “scoccato” prima è stato il 2005. In quell’occasione, infatti, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani “bastò” raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle l’impegno economico richiesto dal fisco. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo”, invece, si è registrato nel 2013, allorché la pressione fiscale raggiunse il record storico del 43,4 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” fu raggiunto l’8 giugno.
Come si vede dalla tabella, in un confronto europeo l’Italia si piazza in top-5 per peso del Fisco :https://www.datawrapper.de/_/alPSl/
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